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Madonna del Rosario con Sant'Ubaldo patrono di Brugnetto e misteri del Rosario, 
opera della scuola di Domenico Corvi (1721-1803)

 

 

Sabato 19 maggio 2001: 
ricollocazione del quadro restaurato

Visita il sito ufficiale del Convento di S. Ubaldo a Gubbio

Relazione del prof. Valter Curzi tenutasi a Brugnetto il 19 maggio 2001 in occasione della ricollocazione della tela di Sant'Ubaldo presso la Chiesa parrocchiale di Brugnetto.

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Nel corso del Settecento le Marche assistono a una crescita economica a cui si collega una generale fioritura sul piano culturale.

L'ingente disponibilità economica è concentrata nelle mani di un numero piuttosto circoscritto di famiglie aristocratiche e in quelle dei rappresentanti dei principali Ordini religiosi che spesso amministrano un vasto patrimonio terriero ancora in grado di procacciare fortune considerevoli. Gli investimenti di tali fortune non di rado trovano un settore privilegiato nel riammodernamento negli edifici religiosi a cui si collega la sostituzione delle vecchie pale d'altare con nuovi dipinti non di rado commissionati da quelle famiglie nobili che degli altari mantengono da secoli il giuspatronato.

Ciò riguarda anche la chiesa parrocchiale di Brugnetto che a duecento anni dalla sua costruzione viene riedificata nel1789 sotto la diretta sorveglianza del conte Angelo Antonelli, economo della parrocchia di Brugnetto e fratello del cardinale Leonardo Antonelli e di quel Bernardino, a cui si lega, come si vedrà in seguito la fortuna del pittore Domenico Corvi.

Nel Settecento la vita economica di Senigallia appare particolarmente fiorente. La famosa fiera della Maddalena vive infatti un periodo particolarmente propizio, grazie soprattutto alla concessione da parte di Benedetto XIV del permesso per l'ampliamento della città divenuto urgente per offrire nuovi servizi e alloggi necessari per l'incremento delle attività commerciali della fiera nel corso della quale la popolazione di Senigallia passa dalle 8000 alle 30.000 persone.

E' proprio in questa vicenda che troviamo coinvolto da protagonista il cardinale Nicola Antonelli, la cui famiglia, originaria di Gubbio, compare iscritta nell'albo delle famiglie nobili di Senigallia fin dal 1622.

A Nicola, inviato a Roma a studiare presso il Collegio Nazareno degli Scolopi, si lega la fortuna della famiglia Antonelli presso la corte pontificia.

Venne eletto nel 1730, ad appena trentadue anni, Cameriere segreto di Clemente XII, la data dell'elezione a questa importante carica coincide con l'inizio della costruzione della villa del Brugnetto, che nella sua monumentalità rende immediatamente evidente la crescita del prestigio della famiglia. Nicola infatti, dopo una carriera brillantissima che lo portò ad occupare fra l'altro l'incarico di Segretario di Propaganda Fide, un'istituzione importantissima a cui si lega l'attività ecumenica della Chiesa fuori dal territorio dello Stato Pontificio, venne eletto nel 1759 cardinale.

A Nicola Antonelli si deve il chirografo del pontefice del 1746 per l'ampliamento. Ed è di nuovo un membro della nobile famiglia, il conte Angelo a occupare la carica di deputato dopo il 1757 per la distribuzione dei lotti di terreno acquistati dalla nobiltà cittadina e forestiera, dai borghesi più ricchi e dai principali ordini religiosi per la costruzione delle proprie dimore.

L'ampliamento coincide dunque con la ricostruzione delle più importanti chiese cittadine: nel 1750 viene inaugurata la chiesa rinnovata di San Martino, sei anni più tardi apre ai fedeli la chiesa della Maddalena, nel 1762 inizia la costruzione del nuovo Duomo, dopo l'abbattimento dell'edificio precedente che si trova ubicato all'inizio dell'attuale corso nel lato verso il fiume.

In contemporanea con la ricostruzione degli edifici religiosi si susseguono gli arrivi dei quadri collocati sui nuovi altari. La nobiltà cittadina si rivolge alla vicina Bologna e ai pittori più prestigiosi della locale accademia, secondo una prassi che risale al secolo precedente, per ordinare le pale d'altare.

Nel corso di un solo ventennio Senigallia diverrà una vera e propria succursale della scuola artistica bolognese.

Unica eccezione a quella che potremmo definire una vera e propria colonizzazione dei bolognesi è la presenza di Domenico Corvi, che introdurrà a Senigallia, sebbene giovanissimo, con le sue due prime opere inviate nel 1754, le straordinarie novità dell'ambiente artistico romano, che nel Settecento diviene il punto di riferimento più prestigioso e più ambito sia degli artisti che dei committenti dell'intera Europa.

Roma conserva le opere dei principali artisti della tradizione figurativa italiana: Raffaello e Michelangelo.

A Roma possono essere visitata i resti dell'amata tradizione classica. Il Colosseo, il Pantheon, il tempio di Minerva medica, l'intera area dei Fori documentano una tradizione architettonica a cui si appassionano artisti e cultori dell'antichità di tutta Europa.

Innumerevoli sono gli scavi archeologici che riportano alla luce decine e decine di sculture e reperti archeologici che vengono esposti al pubblico con l'apertura nel 1734 dei Musei Capitolini, il primo museo pubblico d'Europa.

Roma divenne la meta privilegiata nella pratica del Grand Tour, cioè di quel viaggio alla moda, attraverso le principali città italiane, che ogni membro delle più illustri famiglie europee e russe sentiva l'obbligo di affrontare per poter affinare il proprio gusto a diretto contatto con le bellezze artistiche e paesaggistiche del nostro paese.

A ricordo del viaggio romano, in particolare, ci si poteva far ritrarre circondato dai più celebri esemplari della statuaria classica. O si poteva lasciare la città con dipinti come quello di Giovanni Paolo Pannini, commissionato nel 1754 dal duca di Choisseul, vera e propria antologia dei luoghi e dei monumenti più celebri della città.

Ovviamente l'ambiente cosmopolita romano è immediatamente destinato a diventare luogo ambito per la formazione e l'aggiornamento degli artisti. A Roma ci si può esercitare più che nei altri luoghi nell'esercizio della copia dei capolavori dell'arte antica e moderna.

Il pittore pesarese Placido Lazzarini in una lettera del 1777 inviata da Roma a Pesaro allo zio scrive: "Non mancarò a miglior stagione, di eseguire il suo consiglio nell'osservazione degli avanzi della antica architettura, anzi così mi ero prefisso di disegnar altri pezzi che stanno in campo Vaccino" [tempera di Giovanni Battista Busiri 1740 ca.]

Attraverso le lettere del pittore pesarese, abbiamo la possibilità di verificare le sue occupazioni a Roma, che in qualche modo ci restituiscono una pratica che doveva accomunare gran parte degli artisti che soggiornano nella città negli stessi anni.

Ospite del potente cardinale Gaetano Fantuzzi, Lazzarini avrà modo di visitare gli studi dei più illustri pittori residenti a Roma e soprattutto otterrà di esercitarsi nella copia del nudo nelle accademie pubbliche del Campidoglio e in quella di Francia.

Vale la pena di soffermarsi su questa pratica ritenuta uno dei momenti fondamentali della formazione artistica. I giovani allievi si esercitavano nel disegno attraverso la copia del corpo che prevedeva due tappe fondamentali successive: la copia delle statue (ed ecco l'importanza di poter accedere in un luogo quale il museo capitolino dove erano esposti alcuni degli esemplari più celebri del mondo antico), seguita dalla copia dal vero del modello. Era talmente forte la richiesta di tale esercizio che ben presto furono gli stessi artisti ad aprire delle accademie private.

Lo stesso Corvi trasferitosi ad appena quindici anni a Roma dalla nativa Viterbo per entrare nella bottega del pittore Francesco Mancini, aprirà ben presto una propria accademia destinata a diventare uno dei luoghi più noti dell'ambiente artistico romano.

E' lo stesso Corvi che documenta in una sua lettera del 1752 la frequentazione della sua accademia del conte Bernardino Antonelli.

"Disegnare ha anche un efficace influsso sulla più nobile formazione dell'uomo. Anche i figli dei ricchi devono essere istruiti nel disegno, e a loro si devono fornire cognizioni d'alta arte. Ciò influisce sul loro carattere e sul loro comportamento morale".

Ecco dunque spiegata, attraverso la testimonianza del celebre artista Tischbein, la presenza nell'accademia di Corvi del giovane nipote del cardinale Nicola, trasferitosi da Senigallia a Roma per intraprendere gli studi.

Bernardino alla data della lettera di Corvi ha ventisette anni, appena cinque anni più di Corvi che era nato nel 1721, e sarà proprio attraverso il giovane senigalliese che il pittore riuscirà a ottenere la sua prima importante committenza da parte del consiglio comunale di Senigallia.

Attraverso i documenti d'archivio è possibile ripercorrere l'intera vicenda del quadro che ha inizio con una delibera del consiglio del giugno 1753 con la quale si stabilisce di dover sostituire il vecchio quadro della cappella comunale, posta sotto le logge dell'attuale palazzo municipale, che per il cattivo stato di conservazione era stato interdetto qualche anno prima durante la visita del vescovo. Inoltre un nuovo dipinto per la chiesa era necessario in considerazione del fatto che nella tela, con rappresentati i santi protettori di Senigallia, dovevano aggiungersi le effigi di San Vincenzo Ferreri, Sant'Emidio e San Nicola da Tolentino, elevati a comprotettori della cittadina dopo un terremoto rovinoso risalente al 1741. Per la realizzazione del dipinto si delibera la spesa di una cifra considerevole: 130 scudi che sarebbero stati prelevati dalle casse del Comune a seguito delle entrate successive alla fiera della Maddalena.

Ci si rivolge all'agente di Senigallia a Roma per ricercare un "pittore esperto", come si legge nei documenti, al quale affidare la realizzazione della nuova pala d'altare.

La consapevolezza di come potesse tornare a vantaggio della cittadina ossequiare Nicola Antonelli, non ancora cardinale ma già influente membro della corte pontificia, spinge a rivolgersi direttamente a lui per la segnalazione di un pittore, che in considerazione della sostanziosa cifra accantonata per il quadro si sarebbe potuto scegliere tra i pittori più affermati della città. I rapporti fra Corvi e gli Antonelli fanno si che il pittore viterbese avesse la meglio e anzi, ancora prima dell'arrivo a Senigallia della tela, un altro dipinto di Corvi verrà sistemato sull'altare del Duomo.

Tre mesi dopo l'arrivo di questo primo dipinto, nel maggio del 1754 i senigalliesi, a quasi un anno di distanza dall'affidamento dell'incarico, potranno finalmente godere della visione del capolavoro di Corvi.

Questo dipinto costituisce un vero e proprio trampolino di lancio per l'artista che negli anni immediatamente successivi si troverà a servizio delle famiglie romane più prestigiose e a due anni di distanza dal quadro senigalliese verrà ammesso nell'istituzione più prestigiosa di Roma: l'Accademia di San Luca.

Nello stesso anno dell'ingresso all'Accademia, in concomitanza con la riapertura della chiesa senigalliese della Maddalena, sottoposta a un radicale restauro, un nuovo quadro di Corvi verrà collocato nell'altare della famiglia Ferretti.

E' evidente come Corvi sia ormai entrato sotto la diretta protezione della famiglia Antonelli, tanto che quando nel 1759, a seguito della nomina a cardinale di Nicola, si renderà necessaria la realizzazione di un ritratto ufficiale, sarà di nuovo Corvi a essere scelto. (si veda il Ritratto conservato presso la Biblioteca Antonelliana "Questo è interamente tuo dono". dedica tratta dall'Ode III di Orazio dedicata alla musa Melpomene, ode avente come tema il valore della poesia e la sua capacità di eternare la fama dello scrittore).

Dunque Corvi grazie alla protezione accordatagli dagli Antonelli ha modo di entrare nel circuito delle committenze più prestigiose.

Il cioccolato, importato dalle americhe, diviene insieme al tè una delle bevande più ricercate legate a un costume sociale tipico delle classi più abbienti. E' evidente quindi fin da questa data il tentativo di Corvi di emanciparsi, facendo propri dei riti sociali che appartengono alla classe degli aristocratici, da una condizione di sudditanza nella quale viene ancora relegato l'artista nel Settecento, nonostante avanzi la coscienza dell'autorevolezza della professione artistica in grado di elevare il pittore o l'architetto al ruolo di vero e proprio intellettuale emancipato dal lavoro meccanico dell'artigiano.

Manifesto in questa consapevolezza l'autoritratto del pittore (1785). Nell'autoritratto l'artista illustra il complesso percorso dell'educazione artistica, dall'esercizio sulla statuaria classica a quello sul naturale, allo studio dell'anatomia, della prospettiva e della geometria.

Negli stessi anni Corvi è a servizio dei Barberini, esegue una serie di cartoni per la sala del trono in Campidoglio, invia un suo quadro alla corte sabauda di Torino.

Qualche anno dopo è reclutato dai Doria-Pamphilj per la decorazione del nuovo appartamento nel Palazzo in via del Corso rinnovato in occasione delle nozze di Andrea IV con Leopoldina di Savoia.

In occasione di un altro matrimonio, quello di Marcantonio IV Borghese, l'artista entra a servizio, rimanendovi con uno stipendio fisso per dieci anni, dei Borghese. Per il Palazzo di città della famiglia, Corvi realizzata nel 1772 il Sacrificio di Ifigenia.

Nell'anno successivo Corvi è di nuovo a servizio degli Antonelli. Morto nel 1767 Nicola, il pittore gode ora la protezione di Leonardo, fratello di Bernardino, creato a sua volta cardinale nel 1775.

Leonardo fin da giovane si era appassionato al culto delle reliquie e a Roma aveva seguito gli scavi delle catacombe, inviando fra l'altro all'amico pesarese Annibale degli Abbati Olivieri lapidi e reperti archeologici rinvenuti nel corso degli scavi.

Vale la pena di soffermarsi a ricordare come l'attività di scavo nelle catacombe fosse stata promossa a partire dall'inizio del Settecento da Clemente XI, che aveva inteso in questo modo recuperare la conoscenza del cristianesimo delle origini e di avviare una campagna di moralizzazione dei costumi proponendo ad esempio le virtù dei martiri.

Nel 1749 Benedetto XIV aveva fatto dono alla famiglia senigalliese del corpo di una giovane martire, Timotea, rinvenuto nelle catacombe di San Callisto. Il corpo era stato trasportato nella cappella di famiglia del palazzo fuori Senigallia, per la quale Corvi esegue una pala d'altare nel 1773.

Nelle Marche Corvi continuerà ad inviare dipinti oltre che a Senigallia a Macerata dove oltre a una Natività, non documentata, nel 1783 firma e data una pala d'altare per le ricche suore del convento di S. Caterina e nel 1786 un'Assunta che ancora una volta può essere ricondotta alla mediazione di Leonardo Antonelli.

L'opera è infatti una copia di un'opera attualmente dispersa di una pala d'altare dello stesso Corvi realizzata per Montecelio presso Tivoli, luogo di villeggiatura del cardinale a cui si deve con ogni probabilità la commissione dell'opera laziale.

Tra il 1788 e il 1789 vengono inoltre collocati nella Cattedrale altre due pale di Domenico Corvi: un Sant'Emidio a la Trinità con la Maddalena e San Paolino.

Per questo ultimo dipinto il pittore riceve il compenso di 400 scudi inoltre la commissione del quadro fu al centro di un'aspra contesa fra Leonardo che appoggiava Corvi e il cardinale legato di Urbino Giuseppe Dorja Pamphilj che avrebbe voluto imporre il pittore pesarese Pietro Tedeschi.

Ultima commissione da parte della famiglia Antonelli al pittore, da collocarsi ormai cronologicamente negli ultimissimi anni del secolo, è una pala con raffigurato San Giovanni Evangelista a Patmos eseguito per l'altare di famiglia della chiesa di San Francesco a Pergola, città natale di Nicola Antonelli.

 
 

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